Serie A

Bologna, Mihajlovic: “Sono stati quattro mesi difficili: ringrazio tutti di cuore”

Conferenza stampa Mihajlovic con il tecnico che, dopo quattro mesi di cure in seguito al brutto male che l’ha colpito, è tornato a parlare alla stampa.

La conferenza stampa di Mihajlovic

Nella sala stampa dello stadio Renato Dall’Ara, accompagnato dai medici dell’ospedale Sant’Orsola, l’allenatore serbo ha rilasciato queste dichiarazioni con la sua consuete ironia: “Ringrazio tutti per essere venuti, anche i miei giocatori: fanno di tutto pur di non allenarsi“.

Lo interrompe Blerim Dzemaili, che a nome della squadra ha sottolineato: “Dirti che ci sei mancato è poco. Siamo contentissimi che ti abbiamo ritrovato. Sappiamo che non sei molto contento di noi ma cercheremo di renderti di nuovo felice”. Commozione per Mihajlovic, che ha continuato:

“È un’altra dimostrazione di affetto e vicinanza nei miei confronti. L’ultima volta che ci siamo sentiti era il 13 luglio, ho pensato che fosse giusto ritrovarci insieme ai medici. In questi 4 mesi difficili ho conosciuto al Sant’Orsola medici straordinari, infermieri che mi hanno curato e sopportato: so che ho un carattere forte, difficile ma loro sono stati meravigliosi con me. Li ringrazio tutti di cuore, anche per la vicinanza alla mia famiglia (si interrompe per la commozione, ndr). Sono stati tutti fondamentali, senza di loro non avrei fatto quello che ho fatto”.

Voglio ringraziare tutti quelli che hanno avuto un pensiero per me, tipo Mancini: non ci sentivamo da 4 anni per una cosa che era successa. È stato il primo a chiamarmi quando mi sono ammalato e il primo a venirmi a trovare in ospedale. Sono contento che abbiamo riallacciato la nostra amicizia. E sono molto contento anche per quello che sta facendo con la nazionale. Poi volevo ringraziare tutti i tifosi e soprattutto i tifosi del Bologna che mi hanno fatto sentire come un fratello. Ringrazio anche la società in tutte le sue componenti perché sono stati unici, sin dal primo momento, non hanno mai messo in dubbio la mia permanenza qui. Grazie anche ai miei amici più stretti, uno particolare e più sentito alla mia famiglia. Mia moglie è stata tutti i giorni con me (ha la voce spezzata dal pianto, ndr) e mi ha dimostrato di essere fortunato: forse è l’unica persona al mondo che ha più palle di me. I miei figli sono la mia vita e quando c’era il problema di trovare un donatore hanno accettato di fare subito tutti gli esami del caso”.

Ho passato 4 mesi tosti, sono stato rinchiuso in una stanza d’ospedale da solo e il mio più grande desiderio era di prendere una boccata d’aria fresca. Non mi sono mai sentito un eroe, solo un uomo sì forte, con carattere ma sempre un uomo con tutte le sue fragilità. Voglio dire a tutti quelli che sono malati gravemente che non si devono sentire meno forti se non l’affrontano come me: non c’è da vergognarsi di aver paura, l’importante è non perdere mai la voglia di vivere. La leucemia è una malattia bastarda, ci vuole molta pazienza, bisogna ragionare giorno per giorno, per piccoli obiettivi. Non si deve mai perdere la voglia di combattere. Alla fine se sei forte e ci credi arriva il sole. Più il tempo passa più riprenderò le forze, ho perso 21 chili, prendo 19 pastiglie al giorno però li prendo perché bisogna farlo”.

“Spero che dopo questa esperienza di uscire come un uomo migliore perché nella vita precedente la pazienza non era il mio forte ma oggi devo averla per forza. Guardo tutto in un’altra maniera, prendere una boccata d’aria diventa una cosa bellissima. Ora però non voglio parlare più di malattia ma di calcio. Sapevo che avrei condizionato la squadra, la classifica, l’atteggiamento, le partite giocate: è normale. Ma non volevo che questo diventasse una scusa. Giocatori e staff sanno quanto gli voglio bene ma mi aspettavo di più da loro. Ho cercato sempre di essere presente, in ogni modo possibile, facendo sacrifici, speravo di vedere in campo un po’ di forza e sacrificio ma non sempre è successo”.

Vi devo dire che sono incazzato nero per i risultati, per il gioco, per l’atteggiamento. Da adesso in poi bisogna dare il 200% e abbiamo già cominciato: dobbiamo riprendere la normalità e fare punti. Chi non si rimette in carreggiata avrà dei problemi con me. Sono convinto che presto rivedremo il Bologna che siamo abituati a vedere. Un’altra cosa: quando sono uscito dall’ospedale mia moglie ha postato una foto con una frase di Ramazzotti ‘più bella cosa non c’è’ ed era molto azzeccata. Oggi voglio usare una frase di Vasco: ‘eh già, io sono ancora qua’. Andrò avanti per la mia strada“.

Mihajlovic su Ibrahimovic

Parlando di calcio, Mihajlovic si è soffermato sopratutto sul tormentone Ibrahimovic e sulla prossima gara contro il Napoli:

“Ci siamo parlati un mese fa e ci siamo sentiti una decina di giorni fa, se viene verrebbe per l’amicizia che ci lega, ma ci sono anche altre situazioni. Prima di decidere mi chiamerà, non succederà prima del 10 dicembre. Per ora è tutto in standby”.

“In questi due giorni che sono stato con la squadra ho rivisto una squadra come la voglio io. Bisogna dare tutto senza guardare in faccia nessuno. Giocherà chi si merita, chi ha coraggio, chi fa quello che gli dico”.


Mihajlovic condizioni salute


Le parole dei dottori di Mihajlovic

Presente in sala stampa il dottor Michele Cavo dell’Istituto di Ematologia Seragnoli dell’Ospedale Sant’Orsola, che ha spiegato così la situazione che vive Mihajlovic:

“Buongiorno. È il primo giorno che parlo con la stampa e lo faccio per espresso desiderio di Sinisa. Il mio silenzio era legato alla necessità di essere totalmente cauti e prudenti nei confronti della malattia. La complessità della diagnosi e del percorso terapeutico è stata affrontata con il meglio della nostra professionalità e delle nostre conoscenze. Questo vuol dire che chi vi parla lo fa a nome di tutti i medici che ogni giorno danno il massimo. La storia che raccontiamo oggi, quella di Sinisa, si può declinare per tutti i pazienti dell’Istituto. Oggi riannodiamo la pellicola e torniamo indietro di 4 mesi, quando abbiamo dovuto fare una serie di accertamenti per ricalibrare esami sostenuti per altri motivi. La diagnosi ricevuta è quella di una leucemia acuta mieloide: vuol dire che un particolare tipo di globuli bianchi vanno incontro ad un processo di arresto della loro maturazione e proliferano senza controllo. Questo porta il midollo osseo a perdere la sua capacità di produrre globuli e piastrine”.

“Questo è avvenuto pochissime ore dopo la prima visita ematologica e in quel momento avevamo una diagnosi astratta. Nell’arco di pochi giorni abbiamo effettuato una serie di accertamenti per identificare se queste cellule tumorali producessero proteine per tracciarne il loro identikit. Inoltre c’era da capire se c’erano alterazioni e se 30 geni, quelli più coinvolti di solito, avessero o meno delle mutazioni. Un evento che non è innescato da fattori esterni ma si realizza perché più eventi genetici trasformano il DNA del paziente. Fare tutto questo percorso è utile, perché ci dà delle conoscenze relative alla biologia della malattia e perché ci permette di scegliere terapie mirate. Nel caso di Sinisa questo processo ci ha consentito sin dall’inizio di avere certezza che il suo percorso avrebbe previsto il trapianto se avessimo trovato un donatore compatibile”.

“L’approccio è stato classico, fatto di farmaci chemioterapici in due cicli. Il primo ciclo è durato più di 30 giorni, il secondo è stato più breve. In tutto 43 giorni perché noi utilizziamo farmaci efficaci ma stupidi, che non riconoscono cosa è buono e cosa è cattivo. Questo vuol dire che per uccidere tutte le cellule tumorali abbiamo dovuto uccidere le cellule residue e così il midollo osseo era sospeso dalle sue funzioni. È una storia comune ad altri pazienti. Il risultato dopo il primo ciclo è stato molto positivo: l’obiettivo era di far sparire le cellule tumorali e stabilizzare il midollo osseo. Nel secondo ciclo abbiamo ripetuto la stessa storia ma più breve. Siamo partiti subito con la ricerca del donatore più compatibili, prima nell’ambito dei familiari e poi allargando il raggio d’azione nei registri dove poi l’abbiamo trovato. Esattamente un mese fa abbiamo effettuato il trapianto, necessario per consolidare la situazione. Sinisa mi ha detto di voler chiudere oggi un cerchio aperto quattro mesi fa e dal suo punto di vista è legittimo; dal nostro però quel cerchio non è ancora chiuso. Dalla stampa ho colto un affetto trasversale che sicuramente gli ha dato forza, ha sempre visto le cose in positivo ma a dispetto di un carattere robusto e vigoroso si è sempre fidato di noi”.

Oltre al dott. Cavo ha parlato anche Francesca Bonifazi, sempre dell’Istituto di Ematologia Seragnoli dell’Ospedale Sant’Orsola, che ha continuato:

“Per fare un trapianto occorre un donatore. La donazione ha tre caratteristiche: è volontaria, gratuita, anonima. Il trapianto non è un intervento chirurgico, ci tengo a sottolinearlo. Oggi possiamo dire che le cellule hanno attecchito ed è stato un passo fondamentale; inoltre ad oggi non ci sono complicanze cliniche. Il decorso post trapianto è stato regolare. Ma occorre cautela: i primi 100 giorni sono molto delicati, il sistema immunitario è ancora molto fragile. Il ritorno alla vita normale di Sinisa avverrà gradualmente, valuteremo di volta in volta se ci sarà la possibilità di essere presente. Non c’è una tempistica definibile per considerare passata la malattia: il bollino del guarito viene dato dopo 5 anni”.

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