Serie A

Angelo Di Livio, dalla nascita del soprannome ai vestiti di Moggi fino alla vendetta sulla Juve

La storia di Angelo Di Livio. Importanti esperienze per lui specie con le maglie di Padova, Juventus e Fiorentina, è soprannominato “soldatino” per la sua particolare andatura nella corsa e il suo spirito di sacrificio. Dopo le giovanili alla Roma, esordisce coi ‘grandi’ alla Reggiana, nel 1985. Significative le avventure con le maglie di Nocerina e Perugia, ma è con il Padova in Serie B che esplode definitivamente. Quattro stagioni, 138 presenze e 13 reti per lui, che gli valgono la Serie A ed una big.

E’ Trapattoni a volerlo fortemente, esordisce così in massima serie con la Juventus. Dal 1993 al 1999 saranno quasi 200 presenze, 3 reti e tanti trofei, come la Champions League del 1996 o i tre scudetti con Lippi. A cavallo del nuovo millennio passa alla Fiorentina, che non lascerà fino a fine carriera, scendendo anche in Serie C2 dopo il fallimento della società e riportandola in massima serie da capitano. Chiude nel 2005. In Nazionale può anche contare un secondo posto all’Europeo del 2000.

La storia di Angelo Di Livio

Suo compagno prima al Padova, poi alla Juventus è stato Alessandro Del Piero: “Lui non aveva la macchina e così spesso lo portavo al pensionato. Nelle partitelle del giovedì Alex giocava con la Primavera e i dirigenti ci dicevano di evitare entrate dure su di lui, era un patrimonio”. Ad affibbiargli il soprannome di ‘soldatino’ fu Roberto Baggio, durante un’allenamento della Juventus. Il ‘Divin Codino’, vedendolo correre sempre sulla fascia e mai stanco, gli assegnò quell’epiteto che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Ha sempre distinto il tifo dal campo: “Ero romanista anche quando ero alla Juventus, ma questo non mi ha impedito di dare sempre l’anima per i colori bianconeri di cui sono stato e resto orgoglioso. Poi, il tifo è un’altra cosa”.

Un aneddoto sull’arrivo alla Juve: “Con me c’era Oscar Damiani, il mio procuratore. Boniperti ci accolse nel suo ufficio e la prima cosa che mi disse fu: ‘Ricordati che se arriviamo secondi, abbiamo perso’. Poi mi mandò subito dal barbiere. Effettivamente avevo dei capelli scandalosi, corti davanti e lunghi dietro, un tamarro stile Duran Duran. Dopo il taglio, tornai nel suo ufficio per firmare il contratto”.

Sulla triade e il divorzio con i bianconeri Di Livio ha svelato: Bettega era l’uomo Juve, il primo tifoso. Con Giraudo scommettevamo bottiglie di champagne sui miei goal, con un accorgimento: lui pagava tre volte la posta. Moggi era il punto di riferimento. Un uomo scaltro e abile che ha dato lavoro a tanti. Ha sbagliato, sicuramente, e ha pagato, ma era in buona compagnia. A Roma si dice: ‘Il più pulito c’ha la rogna’, questa frase sintetizza al meglio Calciopoli, che non era solo Moggi. Il quale, in realtà, aveva altri e più gravi difetti. I vestiti! Inguardabili! E noi gli dicevamo: ‘Direttore, ti sei vestito al buio stamani?’ Oppure gli consigliavamo l’acquisto di qualche rivista di moda per limitare i danni.

Ma con scarsi successi. Con lui, comunque, ho discusso molto, specie per l’addio nel 1999. Mi aveva promesso la conferma, poi iniziò a dirmi che c’erano alcune squadre che mi volevano. Tutto questo mentre si parlava degli arrivi di Bachini e Zambrotta. E chi sono, dissi io? Già un’altra volta avevo ingoiato amaro, quando arrivò Lombardo. Ma poi la storia lì era stata diversa. Stavolta era il chiaro segnale che me ne dovevo andare. La presi male, per fortuna che scelsi Firenze, fortemente voluto dal Trap. Però uno scherzetto a Moggi poi lo feci. Quando spostai la barriera e feci segnare Chiesa durante un Fiorentina-Juventus da avversario. A fine partita mi fa: ‘Questa non ce la dovevi fare’. Ed io: ‘Ma quando lo facevo prima, non ti lamentavi, però’”.

Poi qualche cosa non funzionò anche alla Fiorentina: “Rapporto con i Della Valle? Stava nascendo qualcosa di importante e lo sapevo, ma mi tradirono. Meritavo di più ma fui scaricato nel momento del bisogno. Io chiedevo di rimanere come dirigente della prima squadra ma loro mi offrirono soltanto un ruolo marginale nel settore giovanile. La separazione fu inevitabile. Alcuni come Marco Rossi con me si sono comportati davvero male. Se lo dovessi incontrare non lo saluterei” ha raccontato a ‘Radio Bruno Toscana’.

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