Serie A

Inter, Lukaku: “Cori razzisti? Se vuoi i migliori devi accoglierli a braccia aperte”

E’ sicuramente uno dei personaggi più discussi di queste settimane: Romelu Lukaku torna sui cori razzisti, in un’intervista rilasciata prima dei fatti di Cagliari – Inter.

L’intervista di Lukaku a Rolling Stones

Per il calciatore belga le radici africane sono importanti: Perché sono un fiero congolese… un fiero belga congolese. Sono molto fiero delle mie origini, del posto da cui vengo. A casa con mia mamma parlo la lingua dei miei genitori, il lingala, e a volte anche con mio figlio. Per me è molto importante tenere vive le mie radici, non dimenticare da dove arrivo”.

Sul trasferimento ai nerazzurri: “Prima di tutto la mia è una decisione che riguarda lo sport. L’Inter era il club per cui volevo giocare in Italia e il coach è stato un elemento importante nella mia scelta, oltre al fatto che sapevo che la squadra aveva degli ottimi giocatori. Ma anche da un punto di vista familiare è stata una buona scelta, perché mio fratello è già qui. Penso che l’Italia sia un bel posto in cui vivere, sono una persona a cui piace scoprire diverse culture: non solo giocare in differenti campionati di calcio, ma apprendere culture differenti. Per questo sono molto felice di essere qua”.

Infine, il razzismo: “ Penso che sia stata una grande cosa da parte del club lanciare una campagna come BUU – Brothers Universally United. E se vorranno il mio contributo, glielo darò. Se dovessi sentire cori razzisti, risponderò. Però i miei pensieri oggi sono sul campo da calcio, per aiutare i miei compagni a vincere. Lasciare il campo in caso di episodi razzisti? No. Ma penso che debba prendere posizione, quello sì. Perché il razzismo è qualcosa a cui bisogna rispondere.

Guarda l’Inghilterra, dove nelle ultime settimane sono successe diverse cose a giocatori del Manchester United e del Chelsea: la questione va affrontata. Il calcio è qualcosa di internazionale, multiculturale. Se vuoi davvero attirare i migliori giocatori del mondo, devi accoglierli a braccia aperte, perché a loro volta gli atleti devono adattarsi alla cultura in cui arrivano. Quindi è fondamentale non discriminare, e apprezzare quello che uno porta con la sua presenza”.

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