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Carlo Musa a NC: «Sarebbe stato inutile continuare al Savoia»

Carlo Musa è inevitabilmente legato alla rinascita dell'Avellino nel 2018, con una promozione immediata in C dopo lo spareggio col Lanusei

Carlo Musa a NC: «Sarebbe stato inutile continuare al Savoia»

Il suo nome è inevitabilmente legato alla rinascita dell’Avellino nel 2018, con una promozione immediata in serie C dopo lo spareggio col Lanusei e diversi giovani valorizzati che oggi sono autentici tesoretti per i propri club di appartenenza: su tutti, Alessio Tribuzzi, che l’anno seguente si guadagnò subito la B col Frosinone, e Fabiano Parisi, che con l’Empoli è appena approdato in serie A. Carlo Musa un anno e mezzo fa è tornato in Irpinia in un momento di transizione, prima del passaggio di proprietà nelle mani dell’attuale patron Angelo D’Agostino, e il matrimonio estivo col Savoia, dove ha perfezionato diverse operazioni con club professionistici come Genoa, per Riccardo Maria Correnti ed Enrico Nespoli, e lo stesso Avellino, da cui è arrivato Domenico Russo. Tutti 2001 da tenere d’occhio. Musa, del resto, il fiuto per tanti giovani prospetti se lo porta dietro già dai tempi della Lupa Roma: il suo primo, vero banco di prova in D un anno dopo aver conseguito l’abilitazione a Direttore Sportivo Professionista e prima dell’investitura al vertice dell’area tecnica dell’Avellino. “A tal proposito, sono felice che il club abbia confermato Rizzo, che avevo preso dal Livorno – esordisce ai nostri microfoni -. Credevo molto in lui e mi pare che il ragazzo abbia fatto bene. Per il resto, mi fa piacere che, dopo il mio secondo addio lo scorso anno, il club abbia trovato la svolta tanto attesa e ora possa lottare per il vertice”.

Estate rovente sul fronte delle iscrizioni. Per la Casertana il crac è ormai consumato ma sono in tante a non godere di ottima salute. 

“Intanto sono molto dispiaciuto per le società che hanno riscontrato problemi per l’iscrizione e per le persone che vi lavorano. Un problema gestionale indubbiamente c’è. Bisogna essere bravi a capitalizzare ciò che investi, magari spendendo meno e valorizzando tanti ragazzi anche dalla serie D. Questa categoria pullula di giovani validi, su cui si può puntare. Ovviamente se sei un club che punta subito a vincere, e rappresenti una grande piazza, fai un certo tipo di discorso. Ma laddove non è così, sarebbe cosa saggia creare una ossatura giovane nella quale inserire qualche esperto. E’ inutile fare la rincorsa ad ingaggi folli se si vuole mantenere un equilibrio economico stabile. Ci vogliono inventiva, competenze e coraggio nel voler dare responsabilità ai giovani”.

Lei ha tanta voglia di tornare protagonista…

“Quello che cerco è proprio un club che mi consenta di avviare un percorso graduale, che punti sul giusto mix tra under e over e venga affidato ad un allenatore adatto. Non è importante la categoria, ma l’organizzazione, la serietà del gruppo di lavoro e la pazienza nelle aspettative. In questo modo si può fare davvero bene. Insomma, ho una voglia immensa di tornare in pista. E ritengo che la figura del direttore sportivo vada rivitalizzata e valorizzata per quella che è. Noi non ci limitiamo ad operare solo sul mercato, ma abbiamo anche funzioni delicate, di supporto organizzativo verso il club e gestionale verso i calciatori e lo staff tecnico. Un Ds è una risorsa per una società anche per le sue capacità diplomatiche e di sintesi. Questo a volte non viene compreso a sufficienza e solo quando la nostra figura viene a mancare ci si accorge della sua assenza”.

Come è maturata la separazione col Savoia?

“Intanto io credo che sia stata costruita una buona squadra. Nelle prime sei partite abbiamo conseguito quattro vittorie, un pareggio e una sconfitta proprio a Monterosi. Poi sono subentrati dei problemi, diciamo che non mi trovavo più in linea con i programmi societari. Avevamo visioni diverse sotto l’aspetto tecnico e, da persona coerente quale mi ritengo, ho preferito fare un passo indietro per rispetto della proprietà. Sarebbe stato inutile continuare al Savoia essendo in disaccordo con la politica societaria intrapresa”.

Il Monterosi ha preso il largo forse prima di quanto si potesse prevedere. 

“Parliamo di una società previdente, che ha preso gli over adeguati ai propri obiettivi e nella giusta quantità. Anche per questo motivo sono riusciti a gestire bene le varie partite ravvicinate, ma è stato molto bravo anche D’Antoni a far ruotare i ragazzi e consentire a tutti di esprimersi al massimo. Dopo tre anni, il Monterosi si è meritata la serie C, peraltro vincendo un girone dove ci sono tante squadre attrezzate, molti allenatori bravi e trasferte in Sardegna storicamente difficili. Il Latina forse ha perso qualcosa quando ha operato il cambio tecnico esonerando Scudieri. In quel momento il campionato era ancora aperto, poi è chiaro che bisogna vivere la realtà di tutti i giorni per giudicare. Fatto sta che il Latina aveva tutti i mezzi per insidiare fino alla fine il Monterosi”.

In Campania ci sono state delle difficoltà oggettive, soprattutto in serie D, a giudicare dal campionato di molte squadre.

“Questo avviene quando non ci si struttura bene. A volte è meglio prendere un giocatore in meno e un collaboratore in più se è adeguato ai compiti che deve svolgere. Bisogna avere una visione a lungo termine e questa spesso manca. Ovviamente non limiterei il discorso soltanto alla Campania, ma lo estenderei all’Italia intera. Io posso solo dire che chi è oggi al governo del calcio sa che il sistema sta implodendo. Le risorse vengono a mancare, tante società fanno fatica e i problemi aumentano. Qualcosa deve cambiare e bisogna ridare credibilità a un sistema che produce disoccupazione e non dà risposte ad addetti ai lavori che stanno a casa pur avendo speso cifre importanti per aggiornarsi e conseguire abilitazioni. E questo vale anche per i calciatori. Tante certezze stanno svanendo e forse anche la politica deve scendere in campo per aiutare il mondo del calcio a trovare le soluzioni adatte per uscire da questa crisi”.

Quali per esempio?

“Direi che c’è innanzitutto un problema di strutture. Io vivo a Roma e nella mia città non c’è un impianto per disputare la serie C. Parliamo della Capitale, nell’anno 2021. E’ un paradosso grave. Io ho vissuto il problema del “Giraud”, ma questo è un ostacolo che affligge molti territori. Di questo passo si scoraggiano molti imprenditori intenzionati a fare calcio. E’ necessario voltare subito pagina da questo punto di vista, alleggerendo anche l’aspetto burocratico che a volte rallenta tanti progetti infrastrutturali”.

Ci sono i problemi infrastrutturali e poi ci sono i diritti negati dei lavoratori sportivi che ieri hanno voluto manifestare a Roma.

“Per molti l’attività nell’ambito della società dilettantistiche costituisce un vero e proprio lavoro. Bisogna allargare la platea delle garanzie per chi fa parte di questo mondo. Altrimenti si torni al dilettantismo puro, con gli allenamenti serali, e la si smetta con questo finto professionismo. Quindi sono d’accordo, servono tutele e trattamenti adeguati. In Eccellenza, per esempio, non esistono protezioni di questo tipo. Un controsenso visto che oggi parliamo di un campionato di interesse nazionale”.

FONTE: notiziariodelcalcio

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